pastorizzazione della birra

La pastorizzazione della birra

Pastorizzazione e birra, c’è un collegamento? Davvero?! Ma la birra non è mica latte!

Se pensate questo, siete fuori strada. La stragrande maggioranza della birra che trovate in circolazione è pastorizzata.

Ora lasciate che vi faccia una domanda. Avete mai assaggiato una birra cruda?

Capita di sentirla chiedere, da noi in birrificio oppure al pub.

In realtà la birra per essere prodotta dev’essere cotta. Perciò a ben vedere, un bicchiere di birra cruda in fin dei conti è soltanto un bicchiere pieno di malto e luppolo secchi, senz’acqua!

Ma questo malinteso non è del tutto frutto di ignoranza: la distinzione a cui si fa riferimento, infatti, è tra birra pastorizzata e birra che non subisce questo trattamento.

Di cosa si tratta?

La pastorizzazione è quel processo durante il quale la birra, dopo la fermentazione, viene riscaldata a temperature elevate per uccidere letteralmente microbi e batteri. E sottolineo dopo la fermentazione, perché prima della fermentazione la birra viene già bollita!

Pastorizzazione della birra: i vantaggi

Fin qui dunque potrebbe sembrare solamente una pratica positiva.

Sicuramente la pastorizzazione allunga la vita di un prodotto, cioè, nel nostro caso, allontana la data di scadenza di una birra dal momento del suo confezionamento. Perciò grazie alla pastorizzazione si può evitare tutta una serie di problemi e difetti che possono insorgere nella birra a causa di una errata conservazione. Questo perché, oltre a non avere più una prolificazione di batteri che possono guastare il prodotto, con la pastorizzazione vengono uccisi anche i lieviti, che, se posti in condizioni sfavorevoli al loro normale metabolismo (cioè se la birra viene conservata troppo al caldo) possono causare rifermentazioni indesiderate e produrre odori (e non aromi, in questo caso) non proprio piacevoli.

Tutto bene quindi?

Pastorizzazione della birra: gli svantaggi

In realtà la pastorizzazione è una pratica osteggiata fortemente dai birrai artigiani, proprio per le conseguenze a cui porta, che finora abbiamo analizzato indicandone soltanto gli aspetti positivi.

Cerchiamo di capirci qualcosa di più:

La pastorizzazione, dal punto di vista tecnico, consiste nel portare la birra, prima del confezionamento o quando si trova già in bottiglia, a delle temperature elevate per riuscire a neutralizzare ogni microorganismo presente nel liquido.

Solitamente questa fase è preceduta da quella della filtrazione: si cerca di eliminare, attraverso l’utilizzo di filtri anche molto fini, la maggior parte di sostanze indesiderate nella birra, in modo da ridurre ancor di più la presenza di contaminanti e di “sporco” che possono essere rimasti dopo la fermentazione.

Per la pastorizzazione sono necessari macchinari anche molto costosi e complessi.

Ma non è per un motivo economico che la maggior parte dei birrifici artigianali, a differenza della totalità di birrifici industriali, non ricorre a questa pratica.

Perché la pastorizzazione della birra è osteggiata nel mondo della birra artigianale

Con la microfiltrazione prima e la pastorizzazione poi si tolgono dalla birra, oltre a batteri e microbi, anche molte sostanze che rendono la birra complessa e gustosa, oltre che più ricca organoletticamente.

Inoltre, pastorizzando non è possibile la rifermentazione in bottiglia, tecnica largamente utilizzata dai piccoli birrifici artigianali per rendere la birra frizzante.

Un birraio americano, osannato per le sue birre intense e complesse, alla domanda ‘perché non filtri (e non pastorizzi) le tue birre ?”’ risponde che lui ci mette così tanto dentro alle sue birre, che gli sembra un crimine togliere tutto il buono alla fine!

Un altro aspetto negativo della pastorizzazione è che la birra viene ricotta, perciò molti aromi delicati si modificano o evaporano. Ed il sapore cambia del tutto.

La birra viva: un prodotto in evoluzione

E, da ultimo, con la pastorizzazione ci si priva di uno degli aspetti più intriganti di una birra viva: la sua evoluzione. La birra matura col tempo, cambia col tempo, nel bene e nel male. Molti appassionati si vantano delle loro cantine, perché le birre che possono essere nascoste e dimenticate, dopo anni diventano buonissime, perché evolvono e migliorano. Se la birra è pastorizzata rimarrà sempre uguale a sé stessa.

Un birraio artigiano si fregia, riportandolo anche in etichetta, del fatto che le sue birre non sono pastorizzate e in molti casi neppure filtrate.

Dunque, per concludere, vale la pena ripetere ancora una volta: quello della pastorizzazione è uno dei fattori principali (forse il più importante) di distinzione tra birra artigianale e birra industriale.

L’industria è costretta a pastorizzare. Deve rendere la birra un prodotto che si possa stoccare e distribuire senza grosse attenzioni. Al contrario, quando la birra diventa cultura e passione si riesce a capire che più è viva e più è vera. E perciò più buona.

 

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